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Collegandosi ad una corrente periodicamente emergente nella superficie del jazz rivolta a collegare tradizione ed avanguardia, la contrabbassista livornese Silvia Bolognesi, protagonista di lunga data della scena jazzistica italiana ed internazionale, dal 2017 componente dell’ Art Ensemble of Chicago, ha ideato e dato forma, con “Jungle Duke“(Caligola records) ad un singolare omaggio al primo periodo di Duke Ellington, quello di casa al Cotton Club, . Lo spirito richiama quello dell’operazione “Jelly Roll plays Morton” della sassofonista trentina Helga Plankensteiner con Achille Succi, Glauco Benedetti, Marco Solda e Michael Loesch: attualizzare lontane pagine di storia del jazz con sensibilità ed approccio contemporaneo, condito con un pizzico di ironia.
In “Jungle Duke” ad affiancare il contrabbasso della leader troviamo il violino di Emanuele Parrini, la tromba e la voce di Emanuele Marsico, il trombone di Tony Cattano, il pianoforte di Guglielmo Santimone, la batteria di Sergio Bolognesi ed, in qualità di ospite, il sax alto di Nick Mazzarella. Oltre ad un accurato lavoro sugli arrangiamenti e gli impasti orchestrali, colpisce la scelta della Bolognesi di integrare nella musica alcuni inserti parlati con la voce di Ellington che compare nei tre interludi improvvisati, The Plunger/Freedom of expression/Listen to music.
Il perimetro del programma è circoscritto da tre diverse versioni del classico “The mooche” che compaiono all’inizio , a metà ed alla fine, ed al suo interno ci sono diverse perle da segnalare. Una “Black and tan fantasy” dalle ampie volute melodiche punteggiate dal pianoforte e da una sfrangiatissima tromba, la densa atmosfera notturna di “Half the fun“, i contrasti fra la vocalità canonica ed un violino inquieto di “Such sweet thunder”, le fluenti linee dei fiati di “Ko-Ko“, la tensione dei fiati spezzata dal leggiadro incedere delle corde di “East St, Louis Toodle-Do“.
E quindi, dopo lo spartiacque della seconda “The mooche” swingante e danzante, “Creole Love Call” attraversata da intensi assoli della tromba, del pianoforte e del sax e chiusa da un coro mouthless, “Chicago stomp down” condotta dal violino in un territorio costellato di percussioni e fughe scat, che incorniciano anche “Diga Diga Doo”, l’unico brano non autografo di Ellington, ma da lui reso famoso su note di Jimmy McHugh e testi di Dorothy Fields. La terza versione di “The Mooche” è un pò la sintesi di tutto il disco: base da New Orleans primi del novecento e fiati e pianoforti presi da qualche anfratto di un secolo più tardi
C’è rispetto per la tradizione, inventiva e divertimento in queste note, consapevoli del carico di storia che affrontano, ma pronte a lasciarsi trascinare dalla sfida dell’improvvisazione.
Dalle note di copertina a cura di Francesco Martinelli: “…Sulle orme di Lacy e Rudd, di Mengelberg e Mangelsdorff, Silvia e il suo gruppo rinnovano la meraviglia di questi pezzi riscattandone il senso grazie all’intreccio con improvvisazioni originali – in cui via via riaffiorano altri ricordi di brani ellingtoniani – e con frammenti audio di suoni e voci, compresa quella di Ellington stesso, carichi della loro aura mediatica, messi a contrasto con l’ariosa libertà improvvisativa della band. Chi già ama Ellingron ritroverà questi capolavori illuminati e rinfrescati;chi non conosesse ancora gli originali, corra a sentirli“.
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