Forse non tutti gli appassionati conoscono la vicenda che vide protagonista Charlie Haden al Cascais Jazz nel 1971 e sul suo arresto da parte della PIDE/DGS, la polizia politica della dittatura portoghese. Riprendo allora un interessante post da un blog portoghese che vi ripropongo.
Su questo argomento, abbiamo trovato un’intervista di Haden al programma radiofonico americano Democracy Now, un dialogo condotto da Amy Goodman il 1° settembre 2006. Dall’intervista abbiamo appreso diversi fatti, in particolare che Haden non solo aveva problemi con la PIDE/DGS, ma anche con l’FBI, che lo ha avvicinato al suo ritorno negli Stati Uniti.
AMY GOODMAN: Bene, ora voglio tornare a te. 1971, avevi già avuto le tue figlie?
CHARLIE HADEN: Sì.Tre gemelle. Sono nate l’11 ottobre, ma poi Ornette ha chiamato e ha detto che avevamo la possibilità di partecipare a questo tour europeo del Newport Jazz Festival con la band di Duke Ellington; la band di Miles Davis; Dexter Gordon; i Giants of Jazz, che comprendevano Dizzy Gillespie, Thelonious Monk, Sonny Stitt, Al McKibben, Art Blakey. Voglio dire, non riesco a credere che fossimo tutti in tour insieme. Ed ero con il quartetto di Ornette, con Dewey Redman al sassofono tenore, e Ed Blackwell alla batteria. E io ho detto: “Beh, sai, abbiamo appena avuto queste bambine, amico. E devo stare qui e aiutare, sai”. E…
Charlie Haden e la figlia Rachel

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AMY GOODMAN: A otto mesi dall’inizio della gravidanza, hai scoperto che avevi tre gemelli?
CHARLIE HADEN: Sì, sì, sì. E così, Ornette ha detto: “Beh, tua suocera può venire ad aiutare, perché questo tour è davvero importante, sai?” E allora ho detto: “Va bene”. Così abbiamo sistemato tutto e sono andato in Europa. Ma ho visto sull’itinerario prima di partire che avremmo suonanto in Portogallo, e non ero d’accordo con il governo locale. Era un governo fascista. Avevano colonie in Guinea-Bissau, in Angola e in Mozambico, e stavano sistematicamente spazzando via la razza nera, capisci? E così ho chiamato Ornette, e gli ho detto, “Sai, non voglio suonare in Portogallo”. E lui disse: “Charlie, abbiamo già firmato il contratto. Dobbiamo andare. È l’ultimo paese del tour di concerti. Capisci… forse puoi fare qualcosa per protestare, sai?”
AMY GOODMAN: Il regime di Caetano.
CHARLIE HADEN: Sì. E così, durante il tour stavamo suonando uno dei miei brani, “Song for Che”, e ho deciso che quando l’avremmo suonato l’avrei dedicato ai movimenti di liberazione dei neri in Mozambico, Angola e Guinea-Bissau. E ho chiesto… credo che fossimo in Bulgaria, e stavamo facendo un festival jazz lì, o la Romania, eravamo a Bucarest, e ho chiesto a uno dei giornalisti lì, che veniva dal Portogallo,”Sto pensando di fare qualcosa contro il governo portoghese”. Lui disse: “Che cosa hai intenzione di fare?” E io : “Potrei dedicare Song for Che ai movimenti di liberazione, cosa accadrebbe se facessi questo?”
Rispose: “Beh, tre o quattro cose diverse. Puoi essere sparato sul posto, o potrebbero tirarti giù dal palco, o potrebbero arrestarti sul palco. Potrebbero arrestarti nel tuo camerino. Oppure possono arrestarti più tardi. Ma comunque sarai arrestato”. E ho pensato, sai, non credo che mi arresteranno, amico. Sono un musicista jazz americano. Questo è un festival jazz. Non ha nulla a che fare con la politica. Penso di essere al sicuro.

Ornette e Haden Cascais Jazz. Foto di Augusto Mayer
Così ho fatto la dedica, e non sono stato arrestato immediatamente, ma, sai, quando ho fatto la dedica c’erano dei giovani, degli studenti, che erano nei posti più economici davanti, e tutti hanno iniziato ad applaudire così forte che non si sentiva la musica. E un sacco di poliziotti correvano in giro con le armi automatiche, e loro, subito dopo che abbiamo finito il nostro set, hanno fermato il festival, e hanno chiuso a Cascais questo grande stadio in cui stavamo suonando. E siamo tornati in hotel, e quindi stavo iniziando a preoccuparmi di quello che sarebbe successo.
Il giorno dopo, siamo andati all’aeroporto, e lì stavo assicurandomi di poter portare il basso sull’aereo. E c’erano centinaia e centinaia di persone davanti ai banchi delle compagnie aeree. E alla fine, una delle persone della TWA si avvicinò al bancone e disse: “C’era un uomo laggiù che vuole interrogarti, e tu devi rimanere qui”. E io ho detto: “Non voglio essere interrogato”. E Ornette si avvicinò e disse: “Cosa sta succedendo?” E loro dicono: “Vogliono interrogare il signor Haden, e voi ragazzi salite sull’aereo. E lui resterà qui”. E Ornette disse: “No, noi rimaniamo qui con lui”. Li presero per le braccia e li condussero sull’aereo. E io rimasi lì, e mi portarono giù per una scala a chiocciola fino a una stanza per gli interrogatori e cominciarono a tempestarmi di domande. Mi dissero: “Ti trasferiremo al quartier generale della PIDE”.
AMY GOODMAN: La polizia?
CHARLIE HADEN: Era la polizia politica del Portogallo. E così ho detto, sai, “Sono un cittadino degli Stati Uniti con un passaporto degli Stati Uniti. Chiedo di poter chiamare l’ambasciata”. E il ragazzo che lavorava per la TWA mi guardò, sorrise e disse: “È domenica, signor Haden. Non puo chiamare l’ambasciata. Non si dovrebbe mescolare la politica con la musica”.
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Foto de João Moreira dos Santos
CHARLIE HADEN: E la prima cosa che comprendo, sono in macchina, e stiamo viaggiando verso una prigione. E vengo gettato in una stanza buia senza luci, e rimango lì per non so per quanto tempo. Molto, molto tempo. E infine… voglio dire, ero traumatizzato. Sai, pensavo che non sarei mai riuscita a vedere le mie figlie. Pensavo fosse finita. Non sapevo cosa avrebbero fatto.
E alla fine sono venuti a prendermi dalla stanza e mi hanno portato in una stanza degli interrogatori con luci molto, molto brillanti. Non riuscivo a vedere nulla. E c’era un ragazzo che parlava inglese che ha iniziato a farmi domande a destra e a manca, e una delle domande, per la quale ero in qualche modo preparato, perché pensavo che avrei cercato di ingannarli, “Perché hai fatto questa dedica?”. E io ho risposto: “Beh, ho fatto una dedica in ogni paese in cui siamo andati. In Germania ho dedicato qualcosa al popolo tedesco. Ho dedicato qualcosa in Francia”. E lui : “Ti aspetti che ci crediamo?” Ad ogni modo mi hanno portato una dichiarazione da firmare. Mi sono rifiutato di firmare, e allora un tizio aveva un manganello in mano e lo picchiava sull’altro palmo E…
AMY GOODMAN: Volevano colpirti …
CHARLIE HADEN: Non appena ho pensato che tutto fosse finito, un ragazzo è entrato nella stanza e ha sussurrato qualcosa all’orecchio del capo poliziotto. E all’improvviso tutto è cambiato completamente: “Signor Haden, deve andare di sopra. Qualcuno dell’ambasciata americana è qui per recuperarla”.
E sono salito in questa stanza davvero lussuosa, che era molto diversa da dove ero stato, e il diplomatico americano ha detto, “Ehi, Charlie, cosa hai detto l’altra sera che ha causato tutto quel trambusto?” “Beh, mi chiamo Bob Jones e sono di Chicago. Sono l’addetto culturale qui. Vieni con me e, sai, possiamo tirarti fuori da questo posto.”
AMY GOODMAN: Costui era l’addetto culturale di Nixon in Portogallo?
CHARLIE HADEN: Si, era l’addetto culturale di Nixon. Più tardi ho scoperto anche da Ornette, e da altre persone, che non avrebbero fatto nulla… gli Stati Uniti non avrebbero fatto nulla, perché erano molto imbarazzati da quello che avevo fatto, a causa della NATO. E non volevano avere nulla a che fare con quanto successo. E infine, credo che anche Ornette abbia aiutato, e uno dei promoter di Lisbona è stato così gentile da intervenire, e hanno fatto pressioni sulla PIDE, “Questo tipo è un famoso musicista jazz, e fareste meglio a lasciarlo andare, per evitare grane con gli Stati Uniti”. E mi hanno lasciato andare, e ovviamente ero molto felice.
AMY GOODMAN: Dopo questo fatto, e’ cambiato il tuo pensiero riguardo al parlare durante i concerti? Gli altri musicisti ti hanno sostenuto in quello che avevi fatto?
CHARLIE HADEN: La maggior parte dei musicisti con cui ho suonato e registrato mi hanno sostenuto. Sai, è una tale lotta per i musicisti jazz nel nostro paese poter suonare la propria musica e farla ascoltare alla gente. E in questa lotta, non hanno davvero tempo, stanno lottando per suonare la loro musica, e penso che questo sia il motivo per cui più musicisti non si esprimono politicamente.
Ma ho iniziato a preoccuparmi quando l’FBI è venuta nel mio appartamento, e mi ero accorto che stavano sorvegliando la casa. Ho visto le auto davanti alla 97esima strada, dove abitavamo, e ho riconosciuto le auto in borghese quando le ho viste. E alla fine si sono avvicinati alla porta e hanno suonato il campanello: “Siamo l’FBI. Vogliamo parlare con te”. E io ho risposto: “Beh, perché dovrei farvi entrare?” “Beh, ti stiamo chiedendo se possiamo venire a parlare con te”. Così ho detto: “Non ho nulla da nascondere. Entrate”. Così, mi hanno chiesto “Perché l’hai fatto?” E gliel’ho spiegato: “Non sono d’accordo con le politiche del governo portoghese, ed è per questo che l’ho fatto”. Ma l’FBI aveva un intero dossier su di me. Non potevo crederci.
Comunque se dovessi farlo di nuovo, lo rifarei. E come risultato, credo, di quello che ho fatto, perché nessuno l’aveva mai fatto in Portogallo, mia moglie Ruth ed io abbiamo poi appreso che questa storia l’hanno messa nei libri scolastici delle scuole in Portogallo. E nel 1974 ci fu una rivoluzione dei giovani ufficiali di truppa, e rovesciarono Caetano chefuggì dal paese. E penso che sia stato una persona di nome Duarte [Soares] a prendere il controllo del governo socialista. Mi hanno invitato a tornare, e io sono tornato e ho suonato. E c’erano 40.000 persone in questo grande prato di Lisbona, e tutti gridavano: “Charlie! Charlie! Charlie!” E avevo la pelle d’oca dappertutto. Mi ha fatto sentire così bene.
E poi, io e mia moglie Ruth siamo stati invitati a tornare, mentre ero lì, ho conosciuto Carlos Paredes, che era un famoso suonatore di fado, e mi piaceva il suo modo di suonare, e così gli ho detto: “Voglio suonare con te”. Era stato arrestato sotto Salazar. E siamo tornati e abbiamo fatto un film con lui, e mi hanno riportato allo stadio dove sono stato arrestato nel ’71. E hanno fatto un piccolo documentario. Era tutto in portoghese. Ed è stato davvero bello tornarci.
Fonte: JAZZ NO PAÍS DO IMPROVISO!