Anouar Brahem, Anja Lechner, Django Bates, Dave Holland – “After the Last Sky” (ECM)
Il compositore e musicista tunisino specialista di oud Anouar Brahem ha riunito, otto anni dopo “Blue Maqams“, il quartetto che coniuga oriente ed occidente nella prospettiva di una musica come linguaggio universale. ” After the last sky” vede le conferme del pianista Django Bates e di Dave Holland al contrabbasso ed, in luogo di Jack De Johnette alla batteria, il violoncello di Anja Lechner, dalla Germania. Una formazione che accentua il carattere cameristico della musica composta da Brahem, senza rinunciare alla prospettiva di una sintesi vitale fra modi musicali orientali e armonie occidentali, come ben esemplificato dalla title track. In questo disco, però, le corde risuonano forti e ruggenti come liriche e toccanti, e non manca il movimento ritmico, così come la creatività dell’improvvisazione. Basta ascoltare la veemenza e la drammaticità del tagliente tema del cello di “Endless wandering“, intorno al quale l’oud ed il pianoforte tessono una fitta ragnatela melodica, oppure le onde create dal magistrale basso di Holland in “The eternal olive tree” sulle quali danza imperioso l’oud di Brahem.
O lasciarsi avvolgere dalle spire del pianoforte e del contrabbasso di “Awake“, in un percorso di aggiunta e sottrazione degli altri due strumenti, prima della corale declamazione del tema e dell’ampio spazio solista lasciato al pianoforte. I due universi culturali e musicali, orientale ed occidentale, si confondono, separano e riuniscono in continuazione, dando vita, di volta in volta, alla simbiotica forma di tango di “Dancing under the meteorites“, alla convivenza fra le litanie dell’oud ed una coda melodica in trio ( “The sweet oranges of Jaffa” ) , al dialogo fra oud e pianoforte di “Never forget“. In alcuni casi gli strumenti scolpiscono pura poesia sonora: accade nelle toccanti “In the shade of your eyes” un passo a due fra il violoncello e l’oud, e nella conclusiva “Vague” dal clima neoclassico.
Fin qui per ciò che riguarda la musica. Ma “After the last sky” non è fatto solo di note, e Brahem ha sentito l’esigenza di affidare alle parole dello scrittore Adam Shatz, di cui riportiamo alcuni estratti dal libretto , una contestualizzazione dei contenuti emotivi della musica, aspetto necessario per rapportarsi a quest’ opera con piena immedesimazione.
“Brahem finì di comporre la musica del disco nell’estate del 2023, ma circa un anno dopo, al tempo ella registrazione, la Striscia di gaza era soggetta ad una delle più spietate campagne militari della storia moderna, mentre i paesi dell’Occidente “civilizzato” guardavano altrove o agevolavano i crimini. Provando orrore per l’indifferenza dell’Occidente verso le sofferenze dei palestinesi, stretto da un soverchiante senso di angoscia ed urgenza, Brahem raggiunse un punto di rottura dopo il quale non gli sarebbe stato possibile, “concepire il mondo senza il filtro di questa tragedia”. Nei mesi che precedettero le registrazioni la sua mente tornava inevitabilmente alla gente di Gaza e della Palestina e ad una domanda che ancora lo affligge : “Come è possibile questa indifferenza?” ed il suo suonare, lontano da volere influenzare l’ascoltatore, non poteva che risentire dei sentimenti che la tragedia evocava in lui, Questo album porterà per sempre il marchio della sua origine.”
Edward Said, scrittore e Mahmoud Darwish, poeta, entrambi di origini palestinesi, sono le due figure a cui Brahem si è riferito per trovare le parole, i titoli dei propri brani e la descrizione dei propri sentimenti. Il primo, noto per il saggio del 1978 “Orientalism” che offriva uno sguardo inedito e critico dei rapporti fra Occidente ed Oriente, è autore del libro “After the last sky” del 1986 dedicato ai drammi del popolo palestinese. Il secondo ha composto il verso “Where should the birds fly after the last sky?” che riassume la difficoltà a concepire un day after per Gaza.
“After the last sky” non è un lavoro didattico o un’espressione di protesta. Si può scegliere di ignorare i titoli dei brani e le loro allusioni alla realtà che lo ha ispirato. Ma come per “Alabama” di John Coltrane , l’elegia per quattro ragazze uccise nel 1963 dalle bombe di bianchi suprematisti e il “Quartet for the end of time “di Olivier Messien composto in un campo di prigionia in Germania, l’ascolto di questo album non può essere separato dalla consapevolezza degli eventi che ne hanno determinato l’esistenza in questa forma.“
“Il tema della Palestina, scrive Darwish, è sia un richiamo che una promessa di libertà. “After the last sky” risuona di questo richiamo e questa promessa per la quale milioni di persone in tutto il mondo stanno manifestando e sostenendo che il loro futuro, il futuro dell’umanità, è legato inestricabilmente al destino di Gaza e della Palestina.” “Non riesco a concepire questo conflitto come una semplcie opposizione fra Ebrei e Musulmani, dice Brahem. Le vere barriere non sono religiose o culturali,ma derivano dalla crescente separazione fra coloro che denunciano l’ingiustizia e quelli che scelgono di rimanere indifferenti.”
“Ascoltando questo lavoro carico di memoria, omaggio e provocazione, ho pensato alla suite del 1982 di Charlie Haden “Ballad of the fallen”, dedicata alle lotte della gente dell’America Centrale contro le squadre della morte supportate da Washington in El Salvador e Guatemala. Anche questa è una ballata per i caduti, un tributo ad un popolo oppresso che non è un requiem o un atto di resa, ma piuttosto un pezzo di “musica per la liberazione”.