[ad_1]
Pubblicato in un periodo congestionato da molte uscite discografiche, ad un ascolto ripetuto il secondo album del trombonista Andrea Andreoli, in quartetto con Simone Locarni, Matteo Rebulla e Carlo Bavetta, merita una segnalazione più approfondita, in ragione di qualità non comuni fra i lavori contemporanei. Innanzitutto si nota l’accurata ricerca melodica che lo strumento del leader pare avere assimilato quale caratteristica peculiare: le composizioni, indipendentemente dal grado di complessità strutturale, presentano temi molto accattivanti e scritti con mano felice. Anche la decisione di dedicare il lavoro agli affetti familiari, scelta che potrebbe apparire retorica ed invece, alla luce del tasso emotivo espresso dalla musica, trasmette una sensazione di genuina apertura dell’arte alla vita intima. Infine, la cifra stilistica del quartetto che, muovendosi nel solco di un jazz mainstream aperto a diverse influenze contemporanee, esibisce una solida vena narrativa e non disdegna il colpo d’ala improvviso, la sorpresa inaspettata nascosta fra le pieghe di un andamento prevedibile. Succede, ad esempio, nel brano di apertura “Brother“, un blues swingante che suona un pò come vetrina dei protagonisti in scena, che in chiusura si rianima con un inatteso scherzo geometrico, prima di chiudere in modo canonico.
Oppure nell’emblematico titolo di “Ansia suite” che si apre sul pedale del basso, presenta minacciose impennate dei toni, per poi prendere forma in una sezione ritmicamente concitata e concludere nel clima astratto che partorisce in sequenza un libero solo del pianoforte ed il lirico fraseggio del trombone.
L’ensemble guidato da Andreoli, formazione classica e quindi jazzistica con la guida, tra gli altri, di Giovanni Falzone, esperienze nel mondo del jazz (Wdr Big Band, Maria Schneider, Enrico Rava, Billy Cobham), e negli universi paralleli ad esso, (Mario Biondi, Malika Ayane), incluse diverse partecipazioni televisive, è costituito da musicisti di giovane e giovanissima età – con Locarni e Bavetta sotto ai trenta anni – che vantano esperienze internazionali e la presenza in diverse formazioni attive sulla scena nazionale. Un piccolo spaccato di quanto possa offrire il jazz contemporaneo suonato in Italia, forte di solida preparazione tecnica e capacità di toccare le corde dei sentimenti.
Il trombone nelle mani di Andreoli ha una voce duttile, tenera o decisa a seconda dei casi : si tratti di dare vita alle intime pennellate del tema di “Chiara” di approfondire le malinconiche pieghe di “Stefano“, o disegnare la vaga trama latin ricca di variazioni di “Papà“.
Oppure, sul versante più dinamico e pulsante, garantire al tema di “Vivo ” una spigliata freschezza che può ricordare certe colonne sonore delle commedie italiane degli anni ’60, introdurre e chiudere con note solenni “Sad hawk“, solido veicolo hard bop per lo scatenato pianoforte di Locarni e per la forza propulsiva dell’ensemble, o risolvere le sghembe maglie funky di “Mamma” in aperture melodiche nelle quali respirano tutti gli strumenti.
La chiusura è affidata all’unica cover del disco, una sentita versione del classico di Bob Marley “Redemption song” nella quale il trombone assume il ruolo della voce del più celebre esponente del reggae, muovendo le stesse corde emotive.
Del tutto omogeneo agli intenti del leader e compositore il contributo dei partners, con il promettente pianoforte dalle tinte blue di Locarni, il contrabbasso e la batteria impegnati a fornire groove e colori a seconda del carattere dei brani. Un quartetto che suona (anche) con il cuore.
[ad_2]
Source link –